Tempo di musica

2020-10-14T16:12:25+02:00Ottobre 5, 2020|20(21) grammi, Cultura|

Marco Monaci è chitarrista e co-fondatore del gruppo Fine Before You Came – alfieri dell’emo-core nostrano e punto di riferimento della scena indie milanese – nonché proprietario e animatore di VOLUME, uno spazio per chi ama la musica e la cultura indipendenti. Negozio di vinili senza limiti di genere (basta che siano di qualità), libreria specializzata in musica, (micro)location per (micro)eventi e concerti, VOLUME si è imposto come uno dei punti di riferimento per chi è addicted di vinile in città. Marco è un grande conoscitore della musica e dei suoi meccanismi, passate a trovarlo nel suo “tempio” nel cuore quartiere Isola, in Via Porro Lambertenghi 20 a Milano.

La cosa più bella che hai visto succedere durante il lockdown?
Le persone mi facevano i regali quando andavo a portargli i dischi a casa. È stata una cosa bellissima. Ho organizzato le consegne a domicilio (come diverse altre librerie). Mi sono un po’ sbattuto per organizzarla ed è stato anche un pretesto per uscire: potevo farlo e allora prendevo la bici e la macchina, a seconda delle giornate, e mi facevo qualche giro per Milano deserta. C’è stata una risposta molto bella delle persone – un po’ per supportare, un po’ perché stando a casa si ha più voglia di trovare pretesti per rimanere in contatto con il mondo – e tutto ha funzionato, anche se ovviamente con numeri proporzionati alla grandezza della mia realtà. È stato davvero emozionante vedere come le persone hanno risposto a questa iniziativa: c’è chi mi ha regalato la torta, chi la bottiglia di vino, biscotti fatti in casa… c’era la voglia di ritrovare questa dimensione di “scambio”, mi è piaciuto molto.

La prima cosa che hai fatto quando è finito il lockdown?
Sono andato nel panico perché non sapevo cosa sarebbe successo, non sapevo come ripartire… O meglio, il primo momento in cui sono andato nel panico è stato quando Conte ha annunciato che le librerie, tipo a metà a aprile, potevano riaprire. Lì ho detto “ma come è possibile che ci invitino a fare questa cosa in una situazione del genere?”. A parte che la Lombardia non ha aderito, io comunque non avrei riaperto. Ma 20 giorni dopo, quando c’è stata la riapertura ufficiale, è stato strano: non sapevo cosa aspettarmi, quale sarebbe stata la risposta delle persone. Oggettivamente avevo pochissimi soldi quindi non sapevo come fare per ripartire con il piede giusto… Poi ho pensato che eravamo tutti nella stessa situazione e a maggio ho deciso di basare tutti gli acquisti del negozio soltanto sui pre-ordini: chiedevo alle persone di ordinare quello volevano in modo di avere il minor  margine di rischio possibile. Avevo un po’ paura dopo due mesi di fermo quasi totale. Mi sembrava sensato mostrare alle persone le nuove uscite e lavorare su questa collaborazione, che ho portato avanti per tutto maggio, e ha funzionato abbastanza bene. Poi da giugno ho ripreso con l’attività normale. Però la prima sensazione è stata quella di “caduta” e di “impreparazione”… forse inconsciamente speravo che il lockdown sarebbe andato avanti per tantissimo.

Una cosa completamente diversa che si dovrebbe fare tornando a una quotidianità un po’ più normale, nel tuo campo ma anche a livello di comunità/quartiere?
Al di là del fatto che mi manca andare a vedere i concerti, il grosso della mia attività si basava anche sui live e sugli in-store, le presentazioni e gli incontri. Il fatto di non poterlo fare in questo momento, oltre a mancarmi, mi penalizza, c’è il rischio di perdere una caratteristica distintiva del negozio.
Fare semplicemente il “commerciante” non mi interessa più di tanto, mi piace naturalmente, ma la missione di VOLUME è da sempre quella di creare un punto di incontro, un “polo” dove accadono cose. L’idea di non poterlo più fare – il mio negozio è talmente piccolo che organizzare eventi mantenendo il distanziamento significherebbe farli per due persone alla volta – non so come sarà, sto cercando di figurarmi qualcosa a partire da ora.
C’è, ad esempio, in ballo l’idea di fare delle collaborazioni sempre più strette insieme allo spazio B**K che ha lo stesso mio “problema”, di unirci e cercare degli spazi alternativi. Spazi più grandi, non necessariamente nel quartiere… Ci stiamo ragionando, siamo in fase embrionale anche se piccoli eventi insieme ne abbiamo già organizzati (al Frida, poi uno molto bello che doveva essere a marzo e quindi è saltato). Partendo da queste esperienze l’idea è di progettare – almeno fino a quando questa situazione non sarà rientrata – eventi da organizzare insieme in altri spazi: l’unico modo per tenere vivo questo aspetto della nostra attività. Non ci sono alternative, inizialmente avevo pensato a fare concerti sulla porta con le persone fuori in mezzo alla strada: una cosa che si può fare, anche se il rischio è che le persone si assembrino è alto…
Quello che mi prefiguro nei prossimi mesi è questa necessità di unirsi, di fare rete per sfruttare al meglio tutti gli spazi che ci sono a disposizione. Per farlo bisogna avere degli obiettivi e delle visioni comuni. Questa mi sembra la cosa più interessante che può uscire da questa situazione. Ci vuole molta vitalità, molta energia: le cose farle da solo è più facile, farle con gli altri è più bello.

E la musica come ne esce dal Covid-19 e dal lockdown? – o rock down :-) Ci saranno meno musicisti?
Meno musicisti secondo me no. Io ho un problema con le cose in streaming, non riesco a pensare che i live vengano fatti su zoom, i live sui social etc. Se devo vedere un concerto deve “arrivare” fisicamente. Quindi su questo aspetto un pochino sono spaventato, davvero non ho idea cosa accadrà. E non parlo di cose piccoline, come quelle che organizzo io, ma più grosse: sono andato a vedere in Triennale un concerto di una band che fa numeri “piccoli”, 100-150 persone, e comunque è stato strano: tutti seduti, tutti distanziati a 2 metri gli uni dagli altri, mette un po’ di tristezza… Faccio fatica ad avere una visione di cosa sarà, forse sarà tutto più piccolo, più intimo.
Riguardo ai meno musicisti, forse sarà addirittura il contrario: il fatto che i live diventino qualcosa di accessibile a tutti, sia dal punto di vista della fruizione che dell’organizzazione, senza voler essere troppo elitario, c’è il rischio che ci inondino di merda. Poi naturalmente c’è il tema dei lavoratori dello spettacolo, tutta la macchina organizzativa che c’è intorno: penso ad esempio al nostro amico che organizza i concerti per i Fine Before You Came e non ha lavoro da sei mesi… In questo senso, quella dei concerti è l’unica parte che mi auguro riparta in senso “vecchio”, che mantenga quella dimensione umana e di vicinanza.

Le tre canzoni per salutare questo 2020:

  • Damon Locks Black Monument Ensemble – The Colors That You Bring
  • Vic Chesnutt – You Are Never Alone
  • John Maus – Just Wait ‘Til Next Year

Ma più senza?
Mai più senza tempo.
Mi sono reso conto che se c’è una cosa che il lockdown mi ha sparato in faccia è stato quanto tempo passo a fare cose superflue e quanto il tempo sia prezioso e vada sfruttato al massimo, senza doverlo riempire per forza, godendoselo per quello che è.
Questa è una cosa che sto cercando di portare anche nel lavoro, di base vorrei lavorare meno.
E dovrebbe essere un obiettivo comune, dovremmo tutti lottare per avere più tempo.