Qual è la tua casa?

2020-12-10T19:19:04+01:00Dicembre 10, 2020|20(21) grammi, Città|

Esperto di tendenze di consumo e ricerche di mercato, docente di semiotica allo IED di Milano, fondatore della social street di NoLo – nonché “sindaco” del quartiere, com’è conosciuto da chi vive la zona. Daniele Dodaro ci ha raccontato il suo punto di vista sulla città post Covid-19, fatta di relazioni spontanee virtuose, servizi iperlocali autosostenibili e le tante sfumature che ha assunto in questi mesi la parola casa.

La cosa più bella che hai visto succedere durante il lockdown in primavera?
Pensando alla social street e al quartiere di NoLo sicuramente la Spesa Sospesa. Anche prima di questo 2020, l’iniziativa che abbiamo organizzato e che ha avuto un impatto più forte sul tessuto locale non è stata una di quelle a maggior risonanza – tipo GiraNoLo, RadioNoLo, il Festival di SanNoLo – ma quella più semplice: le Colazioni di Quartiere. Questo atto di appropriazione del suolo pubblico, di mettere fuori sedie e tavolini sui marciapiedi secondo l’idea c’è uno spazio, viviamolo è stata la scintilla e l’inizio di tutto. Una signora calabrese, vedendoci in strada con sedie e tavolini, ha messo anche lei la sedia davanti alla porta di casa e si è messa lì con la sua badante, facendo quello che di solito si fa al sud e che a Milano non fa invece nessuno. E così la social street ha coinvolto spontaneamente la comunità oltre il digitale. Durante una Colazione è anche venuta fuori l’idea di RadioNoLo, e come questa tante altre sinergie che hanno permesso di portare le energie del virtuale al reale, e poi al virtuoso.
Durante il primo lockdown è successo un po’ lo stesso con la Spesa Sospesa, nata sempre in piccolo, da un post pubblicato nel gruppo della social street. Alberto, che fa l’interaction designer, si è messo a disposizione per regalare una spesa a qualcuno che aveva perso il lavoro o non stava lavorando. Altre persone si sono accodate, rendendosi disponibili nei commenti. A quel punto è bastato mettere insieme le competenze di Alberto e la rete di relazioni di fiducia che ho costruito negli anni a NoLo, e lo spirito d’iniziativa dei singoli è diventato un sistema per intercettare i bisogni emergenti nel quartiere, matchare domanda e offerta (nel primo lockdown non ci si poteva muovere molto per cui la localizzazione era fondamentale), raccogliere 30.000 euro e soprattutto aiutare dal basso centinaia di persone rimaste in difficoltà a causa della crisi economica portata dal Covid-19. Addirittura durante la messa di Pasqua il prete ha tirato fuori un cartello segnalando il progetto… Mai avrei pensato che un’idea spontanea della social street potesse finire pubblicizzata su un altare! Con Alberto ci siamo poi conosciuti di persona solo dopo il lockdown, nonostante ci fossimo sentiti per telefono tutti i giorni per settimane.
Questa storia riassume ciò che di bello si può creare tra vicini, che sono molto vicini geograficamente ma anche perfetti estranei, quando in comune c’è un’idea, una volontà e la leggerezza di fare qualcosa insieme senza regole precostituite o bisogno di approvazioni.

Una cosa nuova emersa durante questa emergenza e che potrebbe rimanere, a livello di comunità?
Un tema emerso è l’iperlocalismo, per ovvie ragioni in questi mesi quasi forzato, ma che ha fatto sì che le social street fossero in questo senso antesignane e che ha rimesso fortemente al centro la vita di quartiere a vari livelli. La testata Zero ad esempio ha ripensato il magazine a livello di zona. Sempre di più si parla della famosa “città dei 15 minuti”. E molti commenti che vedo sulla social street vanno nella direzione di una NoLo 2030 autosostenibile a livello di servizi, pensati per le persone del quartiere.
La dimensione del quartiere-cittadella è stata accelerata dal lockdown, che ha ridotto i flussi e trasformato la casa nello spazio attorno al quale ruota la vita professionale, relazionale, affettiva e personale. E questo è ancora più vero ed evidente in una città come Milano.
Un esempio su tutti: l’edizione di quest’anno del NoLo Fringe Festival ha visto ridurre i posti disponibili agli spettacoli per le regole di distanziamento fisico. Alcuni si sono lamentati di essere rimasti senza biglietto, lanciando l’idea di replicarlo nel proprio quartiere. Ben venga! Se il NoLo Fringe Festival può aiutare altre realtà a ottenere la licenza del format internazionale, organizzare l’iniziativa e utilizzare il teatro per riattivare la socialità in altre zone di Milano è solo un successo. Anni fa questo sarebbe stato impensabile. Oggi possiamo immaginare il futuro di Milano fatto di tanti quartieri con una loro identità, che è anche ad esempio la direzione dell’iniziativa YES Milano lanciata dal Comune, a testimonianza che se inizi a lavorare sulla coesione, questa diventa automaticamente un elemento di promozione. Anche se più che esportare il quartiere fuori, il lockdown ha messo il focus sul guardarsi dentro.

Quali sono le 3 parole su cui puntare?
Sicuramente leggerezza, per me un must di vita. Che non significa essere superficiali, ma generare un impatto sociale forte con un tono di voce pop. Leggero si oppone a pesante, non a profondo, e la forza dietro a NoLo, e alle tante iniziative organizzate rispetto a un mondo associazionistico più tradizionale, sta nel trattare contenuti importanti e impegnati in modo fresco.
Un’altra parola, anche se già tornata da un po’ di tempo ma accentuata dal lockdown, è lentezza, intesa come vicinanza, che ha trasformato i quartieri in isole: io ad esempio faccio la spesa con l’Alveare che dice Sì, mi incontro con gli amici di quartiere e ho smesso – abbiamo smesso – di essere un atomo impazzito che gira per la città.
L’ultima non la prendo dall’emergenza del 2020, ma dal nuovo decennio che è iniziato e dai giovani di oggi della generazione Z, ed è fluidità: di genere, di generi artistici come la musica e il cinema, e in tanti altri ambiti. E’ la fluidità di muoversi liberamente tra cose molto diverse, opposta a chi ha vissuto sugli “steccati”, inserendo in categorie nette questa o quell’altra cosa e parla invece di ibridazione. Sarebbe interessante chiedersi: Cos’è e che forma ha la fluidità nel contesto urbano?  

La serie TV che ti ha salvato nel tunnel?
A parte guardare saghe lunghissime e i film impegnati di Haneke, per cui ho una passione, ho recuperato tutte le stagioni di RuPaul’s Drag Race, scoprendo che anche lì oggi vince il tema della fluidità, con le drag ventenni che superano i vecchi stereotipi della Comedy vs. Pageant Queen.

Mai più senza…?
Ritorno al tema iniziale: gli amici-famiglia.
La domanda che mi ha aperto la testa in questi mesi e ultime settimane è stata “Qual è la tua casa?”, quando le persone hanno iniziato a chiedermi se tornassi “a casa” per Natale. Dopo un momento iniziale di spaesamento, mi sono detto “Io sono a casa”. E questo mi ha fatto pensare ai diversi significati che il concetto di casa ha per ognuno: c’è chi pensa alla casa come il luogo dove si trova la famiglia, per cui se la famiglia si trasferisce in Russia la mia casa si muove con lei. C’è la casa intesa come il luogo in cui sono nato e dove magari sono rimasti i miei famigliari, per cui la mia casa rimarrà lì per sempre indipendentemente dal corso della vita. Oppure c’è la casa che ho comprato con i risparmi. O ancora la casa che sono le relazioni più importanti per me. La mia risposta è l’ultima. Quella che gli inglesi (e io) chiamano framily. Soprattutto in questi ultimi anni in cui per me ha significato condividere momenti e ritualità a chilometro zero.