Luca Barnabé è giornalista e critico cinematografico per Rolling Stone, Amica e duels. Insegna al Master in Giornalismo dell’Università IULM di Milano. Instancabile frequentatore di festival, kermesse, set, rassegne, ha raccontato con ironia e autorevolezza al Breakfast Club come vede il cinema in questa complicata, ma anche stimolante, fase di transizione post Netflix, post Covid, post tutto. Buona lettura.
Tra tutte le forme d’arte e di espressione, il cinema (almeno nel suo senso tradizionale) è una di quelle che esce più provata da un anno e passa di pandemia: sale chiuse, set azzerati (o comunque messi a dura prova). Sopravvivrà a tutto questo e come?
Ovviamente mi auguro di sì e sono abbastanza convinto che ce la farà, anche se è difficile dire come al momento. Per gli scrittori, ad esempio, è diverso, non hanno mai smesso di scrivere, si può leggere in pandemia e in lockdown; anche i musei stanno riaprendo in qualche modo; i cinema, i teatri, i club, le sale da concerto ancora chiuse (ndr: l’intervista è stata fatta qualche giorno prima che uscisse il nuovo DPCM) sono uno dei tanti simboli degli effetti devastanti del Covid sulla cultura. Il mondo dello spettacolo era già in crisi prima della pandemia e le cose sono ancora peggiorate. Alcuni set sono stati riaperti grazie ai tamponi quotidiani, le mascherine (fra un ciak e l’altro!) e i distanziamenti. Abbiamo visto tutti le foto di Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino sul set di House of Gucci di Ridley Scott a Milano e Roma. Alcuni registi italiani come Paolo Virzì e Paolo Genovese stanno girando i loro nuovi film. Certo viene da chiedersi dove e quando vedremo questi film e se finiranno tutti in streaming… Dall’anno scorso, ogni uscita cinematografica prevista – persino James Bond o i “cinefumetti” – è slittata sistematicamente. Qualcuno di questi film è stato riversato direttamente sulle piattaforme streaming e ogni riapertura delle sale annunciata è stata rimandata e ancora viene rimandata. Paolo Mereghetti ha scritto una lunga lettera molto bella e, credo, condivisibile al Ministro della cultura Dario Franceschini, una lettera che affronta vari temi legati al cinema come la riapertura delle sale, la programmazione e la defiscalizzazione. Mereghetti osserva come sia urgente ripensare subito, adesso, il cinema post Covid al passo con la contemporaneità, e propone di coinvolgere tutti gli attori principali, ascoltando gli esercenti. Un punto nodale della sua lettera dedicato alla riapertura credo sia quello di aiutare seriamente chi apre davvero. Non ci può essere, infatti, chi rischia in prima persona per far ritrovare agli spettatori il gusto della sala dopo mesi e mesi di streaming, diminuendo anche le spese dello Stato, rinunciando alla cassa integrazione, e chi invece vuole che prima tornino i blockbuster e i grossi film previsti per settembre. Se si vuole davvero che il cinema riparta bisogna sostenere chi si sforza di farlo subito e magari penalizzare chi non lo fa, altrimenti è impensabile che si possa ripartire in tempi brevi. Certo poi un altro tema, vista l’ulteriore crisi economica: quanti di noi saranno disposti a uscire di casa e pagare un biglietto?
La nostra domanda di rito del BC: ci sono forme di resistenza alla pandemia che il cinema ha sviluppato e che ti piacerebbe non andassero perdute, una volta fuori dall’emergenza? Ci sono state pratiche alternative di fruizione o di realizzazione che, secondo te, sono meritevoli di attenzione?
Le tante dimostrazioni di affetto, di amore per il cinema, di vicinanza agli esercenti e ai gestori anche di piccole sale sono segnali positivi di una resistenza e di una vitalità culturale italiana. Ciò detto, è stato tutto abbastanza avvilente. Allo streaming eravamo già abituati in fase pre Covid e lo streaming rimarrà anche nel post, altre peculiarità di fruizione o di vita del cinema non ce ne sono state. Non vorrei fare l’apocalittico, ma sarà difficile cancellare la dipendenza dal binge watching di tanti spettatori. Per esempio, a Londra la proiezione di un film al cinema costa di più che in Italia, però tendenzialmente la maggior parte delle sale consentono un’esperienza percettiva potentissima, cosa che in Italia poche sale offrono. Mi auguro che progressivamente tanti esercenti riescano a migliorare le loro sale per consentire un’ulteriore distinzione della fruizione cinematografica rispetto a quella casalinga a cui ci siamo abituati. Se in tutto questo poi devo trovare una cosa buona, l’unica esperienza professionale positiva di questi mesi è che ho notato, da giornalista di cinema, come molti talent, registi e attori, hanno dimostrato, pur attraverso mezzi freddi come il telefono o Zoom e Teams, una disponibilità a parlare e raccontare di sé e del proprio cinema rarissima, che mi era capitata raramente in vent’anni di attività. Mi vengono in mente John Carpenter, Zack Snyder e Cynthia Erivo, l’attrice americana che interpreta Aretha Franklin nella serie che vedremo su Disney + a giugno. Ecco, tutti loro hanno infranto in qualche modo queste finestre e questi filtri tecnologici, che pongono ulteriore distanza tra intervistatori e intervistato. Mi auguro che finita questa bolla, questo sapersi raccontare al di là delle frasi di circostanza – “è stato così bello lavorare con questo, è stato così bello lavorare con quest’altro” – rimanga e non vada perduto.
Arriveranno film sul lockdown? O quantomeno vedremo attori recitare con la mascherina o continuerà questa grande “rimozione”?
In realtà qualche film è già uscito, anche durante il lockdown stesso o quasi. Subito a ridosso è uscito Lockdown all’italiana di Enrico Vanzina che ha suscitato delle polemiche un po’ assurde perché ha osato ridere della pandemia in piena pandemia (personalmente credo che si possa ridere praticamente di tutto, il problema è il modo in cui lo si fa, per cui ho trovato abbastanza sterile quella polemica. Certo poi le qualità comiche ed estetiche del film sono un altro discorso…). Sul piano serio, ci sono stati già molti documentari o quasi, home movies, cortometraggi o lungometraggi collettivi. Penso a un film coordinato da Gabriele Salvatores che ha selezionato tanti film e ha realizzato questo lungometraggio collettivo, a più voci e a più sguardi, dal titolo Fuori era primavera visibile su Rai Play. Poi ce n’è un altro, a mio avviso più interessante, visibile su Netflix e intitolato Homemade: si tratta di una serie di cortometraggi realizzati da alcuni dei più grandi registi contemporanei in tutto il mondo – da Ladj Ly a Paolo Sorrentino a Pablo Larraín. In particolare credo che sia interessante quello di Sorrentino che si è inventato questa storia assurda, realizzata con dei pupazzetti modello statuine del presepe napoletano: i protagonisti sono Papa Francesco e la regina Elisabetta in visita al Vaticano, entrambi si trovano bloccati in casa di Francesco e lei vuole vedere per l’ennesima volta The Crown e lui per l’ennesima volta I due papi! Poi ci sono stati diversi progetti, diversi concept, mostre dedicate a video o foto sul lockdown. Ad esempio l’Università IULM di Milano ha realizzato questo progetto che si intitola Contact in cui chi voleva poteva partecipare con brevi video o uno scatto fotografico a tema. Per quanto riguarda la fiction in questi giorni è uscito Locked down di Doug Liman, con Anne Hathaway e Chiwetel Ejiofor, la storia di una coppia in crisi che si sta lasciando, ma che deve rimanere in casa insieme causa lockdown. Quello che mi viene da aggiungere è che ci sono voluti anni prima che qualche regista si confrontasse con l’indicibile dell’11 settembre e credo che, ancora oggi, il film che meglio lo ha raccontato sia un film non dedicato direttamente al tema. Penso alle 25ª ora di Spike Lee, storia di uno spacciatore, Edward Norton, per le strade di New York. Chiunque abbia visto quel film ricorderà benissimo la scena a cui penso, ovvero quell’improvviso movimento di macchina che ti fa percepire in pochissimi secondi il rimosso, la voragine, l’abisso di Ground Zero. Credo che anche per la pandemia possa valere un discorso analogo. Ci saranno altri, a breve, che si cimenteranno sulla fiction dedicata alla pandemia e il lockdown, ma forse il film che la saprà cogliere meglio, in maniera più potente, è quello che conterrà appena una scena, un’inquadratura che riflette sul passato recente. È difficile fare un film su qualcosa di così grande e tragico come l’11 settembre o la pandemia senza essere stucchevoli, didascalici e sentenzianti.
Ci stiamo preparando agli Oscar 2021. Che senso hanno i festival e le kermesse in questa fase? Che tipo di evento ti aspetti?
Questo non lo sa nessuno! Tranne gli organizzatori. Sono stati annunciati come uno spettacolo unico per l’Academy, e dovrebbero essere in presenza in sicurezza. Bisogna vedere come… è ovvio che non vedremo le abituali 3.400 (o quante sono) persone stipate al Dolby Theatre. Qualcuno ipotizza alcuni in presenza, le altre persone sparse in più luoghi negli Stati Uniti e collegate, magari con statuette da consegnare in loco. Ma sono tutte congetture, nessuno al momento sa come sarà la formula. Per la prima volta concorrono pellicole che non hanno avuto una distribuzione nelle sale e chissà se questa formula resterà in futuro. L’unica cosa ipotizzabile è che la cerimonia 2021 risollevi un po’ i numeri 2020 che sono stati i più disastrosi nella storia dell’Oscar con “solo” 23 milioni di spettatori. Degli 8 film candidati agli Oscar quest’anno quelli che ritengo più interessanti e un po’ meno convenzionali sono Nomadland, che ha già vinto il Leone d’oro a Venezia, e Sound of metal che, pur raccontando una storia fiction, ha una forma quasi documentaristica e un lavoro sul sonoro davvero straordinario e spiazzante. Judas and the black Messiah inoltre è un film che ha una radicalità di contenuti e una scorrettezza politica davvero sorprendenti e, soprattutto, ha due attori protagonisti meravigliosi che, paradossi degli Oscar, sono entrambi candidati a miglior attore NON protagonista maschile!
Parentesi Netflix: oltre alle serie TV, anche i film pensati per lo streaming (e il piccolo schermo) hanno avuto una spinta enorme rispetto alle produzioni per il grande schermo. Le logiche (commerciali) portate dall’intelligenza artificiale alla base delle piattaforme di streaming cambieranno il modo in cui si fa cinema? Come?
Ovviamente mi auguro di no, temo in parte di sì. Mi è capitato di andare, ovviamente in epoca pre Covid, su diversi set di film e serie di varie piattaforme, in particolare Netflix. La sensazione è di essere quasi in un set hollywoodiano per grandiosità, per mezzi, eccetera. Alcuni di questi set erano negli Stati Uniti o in Canada altri e in Europa, la sensazione è che ci fosse molta libertà, ma allo stesso tempo poi i risultati estetici di alcuni film erano così così. Penso per esempio al caso di Mute di Duncan Jones, che sembrava un film di fantascienza estremamente interessante sulla carta. Bravi attori con una sceneggiatura interessante. E poi invece la sensazione è quella che dici tu, cioè che sia un film un po’ preconfezionato. Poi mi dispiace puntare il dito su Duncan Jones, che è il figlio di David Bowie, una persona sicuramente di grande talento: c’erano fra l’altro molti omaggi a Bowie e alla sua vita berlinese in quel film, per cui ci sono anche delle cose interessanti, ma sicuramente il film non funziona. Ed è uno di quegli esempi in cui per quanto ci siano dietro dei bravi artisti, una buona produzione e appunto dei mezzi di tutto rilievo, il percepito finale è che sia un prodotto un po’ preconfezionato, realizzato appunto anche in base agli algoritmi.
Veniamo alle domande pop: Il tuo film “catastrofistico” preferito?
I film catastrofici sono tantissimi e ci sono filoni molteplici. Per una risposta seria dico Il Dottor Stranamore di Kubrick perché è un film che riflette in maniera ancora molto attuale, grottesca, tragica, sulla possibilità della catastrofe e sulla follia al potere, e sull’odio e la volontà di dominio che fanno esplodere e mettono a rischio ogni pace. Il fotogramma, per esempio, del soldato cowboy da rodeo che cavalca la bomba credo sia ancora oggi una delle icone indelebili della pazzia disumana e bellicista. Per una risposta meno seria e invece ti dico Facciamola finita di Evan Goldberg e Seth Rogen che è pura extravaganza USA in versione fine del mondo.
I film da vedere per sopportare (speriamo) gli ultimi lockdown e/o per prepararci alle riaperture?
Tornare a vincere di Gavin O’Connor con Ben Affleck e Volevo nascondermi di Giorgio Diritti con Elio Germano, che interpreta Antonio Ligabue. Cito questi due titoli innanzitutto perché erano stati pensati per il cinema, ma sono andati più o meno direttamente in streaming. Volevo nascondermi mi pare che sia stato in sala per qualche giorno, ma non ha avuto la visibilità che avrebbe meritato. A mio modo di vedere è uno dei film italiani più belli in assoluto del 2020, insieme a Favolacce dei fratelli D’Innocenzo. È un film complesso, per scrittura, messa in scena, montaggio, recitazione. C’è un Germano straordinario, premiato a Berlino. Pur così complesso è però un film chiaro, lampante e lucido, quasi naïf mi verrebbe da dire, al pari dell’arte sgargiante e materica e selvaggia del pittore al centro della scena. È un po’ un anti-biopic o anti-film biografico perché non ha i tic e i topoi, i luoghi comuni del film biografico. Si ride tantissimo, per esempio, si ride con Antonio Ligabue dell’assurdità della vita, della burocrazia, del regime fascista. C’è un Germano straordinario che, al di là del make-up, recita con gli occhi, brutto, accartocciato su se stesso. Puro come Antonio Ligabue. Mi ha fatto venire in mente, per accostamenti bizzarri – la ricerca di amore ossessivo, totale e senza fine, come quello per la vera madre che Antonio Ligabue non ha mai avuto – la canzone Living Life di un altro grande artista maledetto, che a sua volta è passato per tanti ospedali psichiatrici, ovvero Daniel Johnston. Quel suo pezzo è dedicato all’amore:
Hold me like a mother would
Like I’ve always known somebody should…
Ultima domanda: devi finanziare un film sulla pandemia, a chi affidi la regia? Chi sono gli attori protagonisti?
Mi piace tantissimo il fanta-cinema! Scelgo Spike Jonze alla regia, perché ormai fa pochi lungometraggi di fiction e credo che sia uno degli autori più visionari, bravi, spiazzanti del nostro tempo. E per protagonisti scelgo Margot Robbie e i Muppets… non so perché, ma mi sembra un’idea buonissima da affidare a Jonze. “Essere Margot Robbie”… “In pandemia. Con i Muppets”. Magari con musiche dei Daft Punk, una reunion prima dello scioglimento definitivo. E spero che Spike mi ringrazierà per questo endorsement! Invece se vogliamo fare un fanta-cinema un po’ più serio riformerei la coppia di registi geniacci Ciprì e Maresco, che insieme hanno raccontato come nessun altro miserie e macerie umane e facciamo un cinema cinico-pandemico.
*La foto di Luca è di Giorgia Ascari